Librino, quartiere periferico di Catania che la città ignora, è abitato da 80.000 persone. L’azione della Fondazione Antonio Presti – Fiumara d’Arte mira a modificare l’immagine che gli abitanti hanno di se stessi e del loro quartiere. Si tratta di dare un’identità al territorio e agli abitanti, dunque di costruire l’anima di Librino. Questa utopia è concretamente avviata.

Da una decina di anni la Fondazione è impegnata con le scuole del quartiere in un progetto che vede nell’arte e nella cultura il mezzo per un’azione sociale. Innumerevoli gli interventi nelle scuole: il chilometro di tela; le bandiere-quadro realizzate dai bambini e successivamente donate agli ospedali della città; gli incontri con poeti e scrittori nazionali ed internazionali; gli spots pubblicitari realizzati da registi e videomakers a Librino.

Oggi, l’inaugurazione de La porta della Bellezza segna una tappa importante di questo percorso poiché genera nuove azioni concrete ,con un progetto coerente, importante, a lunga scadenza che, da una parte conferma la giusta rotta intrapresa, dall’altra ne amplifica i mezzi e ne allarga il coinvolgimento popolare. Gli interventi artistici, quindi, si moltiplicheranno, per concorrere alla realizzazione del Museo d’Arte Contemporanea all’aperto.

 

Uno dei principi guida dell’azione è quello del fare: bisogna coinvolgere le persone attraverso il loro fare. Solo la praxis può renderci capaci di vivere una trasformazione, di accedere ad una presa di coscienza. Nessuna azione sociale o artistica può essere dissociata dall’implicazione diretta degli abitanti, e a Librino gli allievi delle scuole sono gli interlocutori previlegiati, forti di una grande sensibilità e portatori di divenire. Un’altro principio è che per essere individui e cittadini bisogna innanzitutto trovare un’identità locale, abitare in un spazio che è riconosciuto e in cui ci si riconosce. L’obiettivo è quello di far divenire Librino un luogo, affinché i suoi cittadini possano appropriarsi di questo territorio. Per far questo è necessario intervenire su più fronti e con mezzi pluridisciplinari con un’attività artistica, culturale e sociale specifica al territorio e che metta in relazione diretta il fare degli artisti che vengono a Librino con quello della popolazione e dei bambini. E ancora, l’arte e l’attività artistica possono avere una funzione strutturante nella produzione della coesione sociale. Affinché ciò avvenga dobbiamo riappropriarci dei codici artistici legati alla bellezza. Un intervento artistico in una periferia disagiata può avere un reale effetto sociale a lungo termine a condizione che sia il frutto di una relazione lunga, elaborata, costruita con la sua gente, che accetta, partecipa e rispetta l’opera poiché vi ha contribuito e ne diviene il garante. La Fondazione, creando così una partecipazione collettiva, importante nei processi artistici, innesta la pratica del fare insieme, fonte di rispetto per l’opera e di coesione sociale per la popolazione.

 

A cosa servirebbe realizzare delle opere d’arte a Librino senza implicare la popolazione ? Come per dire che anche in periferia si fa arte ? Nell’epoca dell’occultamento del processo di creatività da parte dello « spettacolo per lo spettacolo » come sanno fare perfettamente i grandi eventi museali o le fondazioni ultrasnob, l’attenzione é sempre rivolta solo al prodotto finito della creazione: l’opera in sé. La Fondazione Fiumara d’Arte ha avviato una pratica di condivisione della bellezza che da venticinque anni nel territorio dei Nebrodi ha affermato con il Parco di Fiumara d’Arte donando al pubblico opere monumentali all’aperto e  realizzando le stanze d’Arte all’Art Hotel Atelier sul Mare dove e’ possibile vivere il sogno dell’arte : l’arte e’ una possibilta’ di vivere il proprio tempo;  l’arte é una questione da vivere. Per questo crea un processo, una catena di interventi che implicano diverse personalità e competenze, diverse azioni che convergono in un unico risultato: emozionare ed emozionarsi.

Ecco perché, a partire dal 14 maggio, con l’inaugurazione della prima parte della Porta della Bellezza, verrà reso pubblico un lavoro di cui non bisogna solo rilevare la qualità artistica evidente, ma anche l’implicazione dei suoi protagonisti che vi hanno contribuito: gli artisti, gli allievi e gli insegnanti. Per due anni, duemila bambini e i loro insegnanti hanno lavorato con quindici artisti per fabbricare insieme novemila forme in terracotta che sono state fissate  su un muro di 500 metri dipinto di blu, che divide il quartiere in due. Questa Porta è la metafora dell’accesso a una nuova coscienza che si costruisce poco a poco nei duemila giovani artisti-studenti che non dimenticheranno mai il  loro muro, la loro firma sui pezzi di terracotta. Qui sta l’interesse dello slogan «Librino è bello», poiché è un modo di proiettare Librino al futuro, per riconoscersi anche attraverso lo sguardo artistico ed estetico.

 

Su un piano più generale, non si tratta di spostare le logiche centro-periferia; non si tratta di far divenire Librino la città di Catania, né di recuperare o reinserire Librino nel circuito catanese. Si tratta precisamente di offrire a Librino i mezzi della sua propria autonomia. In questo senso bisogna essere chiari: tutte le politiche mirano alla riabilitazione delle periferie disagiate e dei loro abitanti, operando nella logica di rinserirli nei circuiti economici e sociali tradizionali, alimentando così sempre il mito «in città è più bello». La specificità del quartiere di Librino, come di tutte le periferie del mondo, è di non essere un luogo di vita, di essere un dormitorio ove regna l’illegalità, l’indifferenza, l’abbandono. Non è necessario un lavoro di reinserimento delle persone poiché il reinserimento prende sempre a modello la società esistente, e oggi, la nostra società è la manifestazione chiara ed evidente di una crisi di valori, che certamente, proprio per questo, non può erigersi come modello di società ideale in cui reinserirsi. Al contrario, è necessario invece che lo sviluppo culturale, sociale, ed anche economico di Librino dipenda dalla consapevolezza dei suoi abitanti ad apprezzare come sia possibile una ricaduta positiva della mobilitazione in corso: il fatto importante per esempio è che la popolazione cominci a credere al cambiamento. Se questa grande utopia potrà prendere corpo un giorno a Librino, ciò avverrà perché la popolazione se ne è approppriata. Si fa con la popolazione e non per la popolazione.

 

E’ certo che soffia un vento d’utopia, ma ricordiamoci che più grande è l’utopia, più grande è la sua possibilità di realizzarsi. A Librino si tratta di cambiare il territorio cambiando l’immaginario di coloro che vi abitano. Non é cosa da poco: l’immaginario é la rappresentazione che abbiamo del mondo. L’utopia si realizza quando le società sono capaci di cambiare ciò che una società contemporanea ha costruito. E’ evidente che rispondendo «presente!» le scuole, gli insegnanti, gli allievi e le famiglie, stanno già cambiando le loro pratiche ma anche il loro immaginario. La necessità di cambiare il nostro immaginario per Librino è oggi necessario. Le società contemporanee continuano a rivolgere alle periferie del mondo uno sguardo di rifiuto, proprio perché le hanno generate e oggi sono incapaci e impotenti di crearne le condizioni di sviluppo e di progresso. Le circoscrivono in definizioni aberranti, le pensano come dei ghetti, un insieme di luoghi indegni di accogliere le espressioni della modernità, luoghi incapaci di pensarsi e di evolvere. Ma dimenticano che in questi luoghi c’è sempre gente che vive e che resiste per superare e affrontare un pesante destino. Ecco perché il processo in corso deve essere compreso in tutta la sua dimensione reale, nella connessione strettissima che vi si sviluppa fra le valenze della pratica artistica e le valenze della pratica sociale. La creatività é sempre un motore di trasformazione ed i protagonisti, di questo motore che si accende a Librino, ne sono sicuramente convinti. La nostra società contemporanea deve indignarsi per aver creato, come città del futuro o peggio città satelliti, a Catania Librino, a Palermo lo Zen, a Napoli Scampia, etc.. Inesorabilmente, la perdita della facoltà d’indignazione ci colpisce tutti. Essa concerne l’etica, il diritto, il vivere sociale. La storia delle nostre società mostra che la capacità d’indignazione è molto fragile, e una società intera può perderla. I media mettono spesso in scena eventi drammatici come un grande spettacolo, capace di anestetizzare l’indignazione collettiva, per distogliere l’attenzione da ciò che quotidianamento dovremmo vergognarci. Si tratta di una manipolazione perversa che ci fa assistere alla legittimazione delle ingiustizie sociali, alla canalizzazione di tutte le derive politiche o economiche per farle accettare da un consenso collettivo privo di indignazione. Ma la fabbrica del consenso di massa non deve farci perdere la nostra sensibilità, la nostra capacità di percepire, di vedere, di apprezzare. La Porta della Bellezza appare in questo senso come una risposta poetica e artistica alla perdita generale della nostra facoltà di indignazione. Appare come un gesto collettivo felice che, di fronte alla grettezza delle coscienze, permette di viaggiare nella creatività e nell’immaginario. Di sognare ancora un futuro.