Larghe strade e isole alberate. Scuole, chiese, luoghi di ritrovo. Sulla carta e nei progetti degli Anni ’70, Librino, quartiere periferico della città di Catania, doveva essere una vera Eutopia.

Progettato dall’architetto giapponese Kenzo Tange, proprio per rispondere a quella spinta di internazionalizzazione tipica degli anni in cui Catania si era già guadagnata l’appellativo di Milano del Sud, il quartiere era stato concepito per essere una vera e propria città satellite, autonoma e metropolitana.

Nel piano regolatore del 1969, l’area a disposizione per la realizzazione del quartiere era molto vasta: 420 ettari coltivati ad agrumi e vigneti e destinati al pascolo. Nel 1971, l’architetto Tange inviò a Catania il suo progetto che prevedeva una città articolata in dieci nuclei abitativi, ognuno dei quali pensato per circa 7.000 abitanti e dotato di scuole, uffici, centri sanitari e attività produttive. Una serie di borghi autonomi, dunque, delimitati da un doppio anello di strade dalle ampie carreggiate, pensati come collegamenti tra i vari nuclei e il cui cuore comune doveva essere un grande centro polifunzionale, dotato di teatro, pala congressi e un museo. C’erano, nel progetto di Tange, anche piste verdi per le passeggiate a piedi e in bici, attraversamenti in sopraelevazione per i pedoni e un enorme parco urbano, attrezzato di impianti sportivi, strutture per il tempo libero e persino un lago artificiale per gli sport acquatici.

 

Cosa ne è stato di quel progetto, purtroppo, è storia nota. L’abitare a Librino si è sviluppato in modi totalmente diversi e agli edifici costruiti dalle cooperative nel rispetto delle linee guida del progettista (palazzetti bassi, ben curati e protetti) e abitati da famiglie che possono contare su un lavoro e vivono il quartiere solo come un dormitorio, fanno da contraltare i palazzoni alti e anonimi, realizzati dall’Istituto case autonome popolari, in totale stato di abbandono, nonché le case costruite abusivamente o gli immobili occupati da chi non ne ha diritto, come il tristemente noto “Palazzo di cemento” diventato ricettacolo di spazzatura, malaffare e criminalità.

 

Oltre le dinamiche diverse dell’abitare, Librino offre pochi e spesso carenti servizi cittadini mentre mancano da sempre i luoghi d’incontro, le piazze attrezzate, i cinema, gli impianti sportivi. E oggi, se non fosse per le eccezioni dovute all’impegno delle parrocchie e di alcune associazioni sul territorio che offrono momenti di aggregazione e attività per i bambini, continuano a mancare.

In questo vuoto, il mecenate Antonio Presti ha voluto investire,  sin dal suo arrivo a Catania, per riconsegnare, attraverso l’Arte e la Bellezza, la dignità di cittadini agli abitanti del quartiere.

Il sogno che realizza i propri sogni

E così Librino, luogo di mancamento, non solo di servizi essenziali, ma soprattutto di identità, è diventato il paradigma del suo sogno più grande.

“Il sognatore che realizza i propri sogni”, come lo ha definito lo scrittore israeliano Meir Shalev, coltiva insieme con la sua Fondazione il sogno della bellezza come forza etica e come occasione di riscatto, incontro, scoperta.

A Librino, quartiere demograficamente più giovane di Catania, Presti ha voluto che la speranza si facesse arte a partire proprio dalle generazioni più giovani.

Soprattutto per loro, per i circa 10.000 ragazzi che nel quartiere frequentano le nove scuole dell’obbligo, Antonio Presti, da ormai 20 anni, promuove e organizza incontri e iniziative con poeti, scrittori scultori, fotografi e video artisti di fama internazionale.

E li organizza a partire maieutica e dal coinvolgimento totale degli abitanti, e soprattutto dei ragazzi, che diventano protagonisti dei progetti culturali e artistici e che si appropriano dell’arte per esprimere le proprie potenzialità.

 

«Fare esprimere la bellezza interiore a persone che si trovano in una situazione di disagio, di malessere, di rischio – sottolinea Presti – è un modo che può vivificare le emozioni implose in luoghi dove la depressione non è soltanto deprivazione di cose, né soltanto mancanza di strade, di piazze e di luoghi d’incontro, servizi e strutture di cui la popolazione ha bisogno, certo, ma che non possiamo essere noi artisti a dare. L’artista deve ricontattare l’anima degli uomini attraverso la bellezza. Ed è dalla consapevolezza di essere belli che può nascere una nuova coscienza degli abitanti del quartiere».

Un omaggio provocatorio, questo di Antonio Presti, la cui sfida è volere ribaltare l’approccio abituale allo sviluppo: non il denaro e l’economia come motore di crescita, ma l’etica, la bellezza, l’arte. L’arte come levatrice di potenzialità di vita e di creatività. Un progetto provocatorio in un mondo contemporaneo che non riconosce più “la bellezza interiore” come valore.

L’idea è quella di abbattere il limite dell’essere periferia e ridare a Librino una sua centralità all’interno della polis catanese. La mancanza di una crescita culturale parallela genera la lontananza della periferia dalla città. Ignorarla vuol dire ignorare l’identità stessa della città. Per visualizzare questa emozione, la Fondazione Antonio Presti ha invitato, invita e continuerà ad invitare grandi artisti internazionali a Librino, dove vivranno quell’ordinario quotidiano del quartiere per riconsegnarlo, con la loro sensibilità, ad una rinnovata e straordinaria immagine.

«Dicono che è un’utopia – spiega il mecenate Presti – , ma io sono convinto che utopia non è ciò che non si può realizzare, ma ciò che il sistema non vuole che si realizzi. Per questo dico che se le coscienze si svegliano, e si esprimono, i progetti possono diventare realtà».