In occasione dell’evento l’Offerta della Parola – Poeti in treno, nella Casa d’arte Stesicorea fu realizzato un progetto dai connotati totalmente diversi dalle esperienze precedenti. Ricostruire un luogo fatto da artisti significa agire materialmente sullo spazio, ma soprattutto modificare radicalmente e in modo profondo la stessa relazione tra arte e società, e gli schemi ormai frusti sulla base dei quali si svolge la fruizione della stessa opera creativa. L’opera d’arte non è contenuta nella casa, e come tale esposta ai visitatori, ma è la casa stessa, nei suoi spazi interni e con i suoi contenuti, ad essere opera d’arte: la visita incessante del pubblico che si reca in una casa privata a fruire dell’arte non fa altro che contribuire a sottolineare la forza e la pregnanza dell’alterazione ormai compiuta su certi schemi precostituiti e oramai superati. Le stanze degli artisti siciliani coinvolti parlano dunque al pubblico con linguaggi differenti e si presentarono come visioni molteplici delle medesima energia.

 

Artisti II edizione:

Enrico Salemi, Andrea Buglisi, Enzo Rovella  , Davide Bramante, Gianfranco Anastasio, Giulia Di Natale & Claudio Montaudo, Giovanni Tuccio, Lidia Rizzo, Rocca Carlisi, Giovanni Lo Verso        ;                            

Stanza della Poesia a cura di Antonio Presti, Gianfranco Molino, Maria Attanasio e Gianna La Rosa

 

Casa dolce casa  

La casa rappresenta lo spazio privato invalicabile, il grembo di mattoni e cemento nel quale ciascuno cerca rifugio e protezione. Non solo è l’immagine concreta dell’accoglienza e l’intimo deposito in cui posizionare e sovrapporre oggetti e ricordi, ma essa costituisce anche la rappresentazione simbolica della propria identità psichica e sociale.  É cioè uno spazio destinato ad interagire con la “persona” – intesa nel duplice significato di individuo e di maschera sociale –  e con la sua storia, e che, sebbene nasca in funzione di necessità abitative, tende a travalicare scopi ed esigenze contingenti, originando complesse relazioni tra soggetto, spazio e memoria.

La casa costituisce quindi la dimensione privilegiata per svolgere una riflessione sul nostro rapporto con il luogo e i significati che ad esso siamo soliti attribuire.

In una realtà sociale contemporanea in cui la tipologia del ‘non-luogo’ – con il suo seguito di sperdimento e spersonalizzazione – sembra conquistare anche l’ambito domestico, si impone la necessità di ri-costruire e ri-scoprire una dimensione originaria dei luoghi, anche operando dei salutari mutamenti di prospettiva, mettendo in gioco funzioni e funzionalità.

Stesicorea, la casa dove ogni singola stanza, ispirata ad una poesia, è realizzata da un artista (ma alcune anche in coppia o in gruppo) rappresenta quindi la problematizzazione del rapporto tra arte e luogo, che si attua mediante la presa di coscienza del possibile ribaltamento causato dal passaggio dalla dimensione privata a quella pubblica.

L’arte è la presenza che ha consentito questo capovolgimento, consegnando idealmente le chiavi di casa al pubblico, aprendo le porte a visitatori sconosciuti, e porgendo il benvenuto con il calore di una intimità rivisitata nel segno della creatività, che qui si trasforma in possibilità di scoperta e conoscenza. E’ come se, improvvisamente, all’interno degli spazi della casa, si specchiasse l’antico teatro greco che si trova proprio di fronte ad essa, trasferendo nel chiuso dell’appartamento l’idea corale di incontro, sia tra la gente del pubblico, che tra spettatori e attori, che è propria della scena. Non è un caso, dunque, che gli artisti si siano ispirati ad una poesia per le loro opere: la parola, vivificatrice, torna a riecheggiare in luoghi già conosciuti,  risvegliandoli e intrecciando legami senza tempo, che conducono tra l’altro a riscoprire una dimensione della socialità e della condivisione di valori anche estetici.

La casa fagocita lo spazio circostante, ne risucchia icone e simulacri cittadini, del presente come del passato, instaurando un continuo dialogo tra ‘interno’ ed ‘esterno’, tra ‘pubblico’ e ‘privato’.

E questo si presenta del tutto in linea con una tendenza molto evidente dell’arte contemporanea degli ultimi decenni per la quale lavorare all’interno di un ambiente chiuso, trasformandolo, risulta essere una forte esigenza espressiva. Lo spazio non è più, quindi, il luogo finalizzato esclusivamente alla fruizione dell’arte, ma esso stesso si propone quale fondamentale elemento semantico.

Il modo tradizionale di rapportarsi all’opera d’arte si è così modificato, affrancandosi dalla ‘frontalità’ che per secoli l’aveva soggiogato, svelando, accanto a inedite possibilità espressive, una nuova dimensione emotiva.

Non è quindi un caso che il tema della casa costituisca uno degli argomenti centrali della riflessione dell’arte contemporanea, e non tanto per il dato architettonico in sé, ma soprattutto per il suo essere contesto paradigmatico dell’interazione tra individuo e società, tra spazio vitale e dimensione psichica. Tra i casi più eclatanti pensiamo ad esempio a Guillaume Bijl, artista belga che in una grande sala del museo di Gent ha trasportato una povera abitazione contadina a dimensione reale, perfettamente arredata,  nella quale l’osservatore può entrare visitando ogni stanza, con la sensazione colpevole di violare indebitamente l’intimità di qualcuno che si è allontanato da poco. Umili oggetti e odori casalinghi sono indizi evidenti di una presenza umana – in realtà solo apparente – e ciò trasmette una sensazione di estraniamento, che porta alla presa di coscienza del carico di simbolismi che leghiamo alla casa e che spesso la reiterazione dell’esperienza quotidiana personale tende inevitabilmente a sottacere. Molto scompiglio ha causato inoltre a Londra il lavoro dell’artista Tracey Emin, che ha ricontestualizzato in una sala destinata all’esposizione pubblica, la propria stanza da letto, nel più totale disordine e con elementi strettamente personali, creando così scandalo con un’operazione di pubblicità degli aspetti più scabrosi della propria intimità domestica. House è invece il titolo della grande scultura di Rachel Witheread, calco in gesso a dimensione reale degli spazi interni di una casa di tre piani, poi abbattuta durante una clamorosa performance.

Ma Stesicorea si presenta, nella sua sperimentalità, come un progetto dai connotati totalmente diversi. Non è certamente lo scandalo la scintilla che la anima, ma piuttosto l’idea di trovare nuove impostazioni a rapporti ormai sfibrati tra spazio e individuo, tra cose e valori.

Ricostruire un luogo, come hanno fatto questi artisti, significa certamente agire materialmente sullo spazio, ma soprattutto modificare radicalmente e in modo profondo la stessa relazione tra arte e società, e gli schemi ormai frusti sulla base dei quali si svolge la fruizione dell’opera creativa stessa. Offrire la propria casa all’arte e offrire arte nella propria casa, al pubblico indistinto, presuppone l’adesione ad una concezione dell’arte come etica della condivisione di valori sociali oltre che estetici. L’opera d’arte non è contenuta nella casa, e come tale esposta ai visitatori, ma è la casa stessa, nei suoi spazi interni, con i suoi contenuti, ad essere opera d’arte, e la visita incessante del pubblico che si reca in una casa privata a fruire dell’arte, non fa che contribuire a sottolineare la forza e la pregnanza dell’alterazione ormai compiuta su certi schemi precostituiti e ormai superati. Anche sul piano della metodologia della realizzazione di Stesicorea, emerge la peculiarità di una idea della progettualità caratterizzata da un modificato assetto consequenziale, per cui l’idea progettuale non nasce più dal susseguirsi di eventi posti in successione, l’uno prima o dopo l’altro, ma secondo un tempo nuovo, dove i frammenti sono legati e al contempo autonomi, e procedono l’uno accanto all’altro, parallelamente, piuttosto che consequenzialmente. Le stanze degli artisti (Gianfranco Anastasio, Davide Bramante, Andrea Buglisi, Rocco Carlisi, Giulia Di Natale e Claudio Montaudo, Giovanni Lo Verso, Lidia Rizzo, Enzo Rovella, Enrico Salemi, Giovanni Tuccio,  e il gruppo costituito da Antonio Presti, Maria Attanasio, Gianfranco Molino e Gianna La Rosa), parlano al pubblico con linguaggi differenti e si presentano come visioni molteplici.

Pur nella contiguità, le stanze sono l’una indipendente dall’altra, e ciascuna,  allo stesso tempo,  è parte fondamentale di un progetto aperto e mutevole.

Queste stanze verranno distrutte ad un anno dall’inaugurazione della casa, così come del resto è già avvenuto per altre stanze d’artista, una prima volta. I lavori verranno fotografati e filmati, ma poi sarà proprio la stratificazione di questo archivio documentale in progress  a creare una ulteriore opera, una casa immaginaria dalle opere ormai scomparse, eppure – si potrà poi dire “un tempo” – visibili ed esistenti, la cui percezione sarà affidata solo al ricordo. (Paola Nicita)